Concerto per chiodi e apparecchi domestici

di Umberto Eco (Radiocorriere TV, nĀ°28, 13-19 luglio 1969, pag. 32)


(È americano, ha lavorato qualche tempo in Italia. Anni fa, rimasto privo di mezzi, concorse a Lascia o raddoppia? come esperto di funghi. Le sue sperimentazioni, fondate sulla filosofia Zen, hanno avuto un ruolo determinante nella vita culturale della nostra epoca.)

Non avete alcun bisogno di prenderla per musica, se questa espressione vi urta. È una frase di John Cage. E per chi non lo conosce, dovrebbe bastare. Bastare a mettere in guardia, intendo. Quando un musicista incomincia così, è segno che ci farà ascoltare qualcosa particolarmente adatto a mettere a dura prova le nostre abitudini acquisite.

Ma il lettore ignaro potrebbe ancora essere tratto in inganno: per esempio leggendo una biografia di John Cage su di una enciclopedia musicale: nato nel 1912, a Los Angeles, allievo di Schoenberg, collezionista di strumenti e appassionato ricercatore di nuovi timbri, ideatore della tecnica del pianoforte preparato, sostenitore della musica aleatoria, ha avuto una grandissima influenza sui musicisti d'avanguardia delle ultime generazioni, autore di varie opere che hanno titoli tranquilli come Variation II, Concerto per piano, Fontana Mix...

Questo compositore di non-musica potrebbe essere preso, dal lettore tranquillo, per un dodecafonico arrabbiato, un seriale rigoroso, un ascetico nemico della tonalità e della melodia. Ottimo, ormai tutti ci sono abituati, non fa più scandalo.
Invece (a parte il fatto che oggi neppure Cage fa più scandalo perché è diventato un classico anche lui, da presentare al grande pubblico televisivo) per lo meno da una decina di anni fa quando passò per l'Italia, scandalo ne faceva ancora.

Astuta ebetudine
Fedele D'Amico, che è critico polemico e sarcastico, ma di solito non è uomo da farsi sorprendere dalla modernità, così raccontava un concerto dato da Cage all'Accademia Filarmonica Romana, coadiuvato al secondo pianoforte da Luciano Berio: Sedevano i due, ciascuno davanti al pianoforte rispettivo; e ogni tanto, a turno, spesso armeggiando contemporaneamente con l'altra mano nelle interiora dello strumento. Altri suoni, sempre intramezzati da pause a perdita d'orecchio, si alternavano a quelli: colpi di bacchette di legno, di fischietto, pizzicotti alle corde, manate sull'esterno del pianoforte. Una volta il celebre compositore si levò e aprì per qualche decina di secondi un apparecchio radio...

D'Amico più che scandalizzarsi, parlò in quel caso di astuta ebetudine (termine di cui come vedremo, Cage dovrebbe andare molto fiero perché si ispira ai principi zen a cui si ispira); ma bisogna dire che in quell'occasione Cage si era comportato con moderazione.

Perché aveva, è vero, messo in opera il suo celebre prepared piano ā€“ in cui chiodini e chiodoni, catenacci e supporti di gomma vengono inseriti tra le corde per modificarne il timbro ā€“ e aveva provveduto a maltrattare lo strumento a coda, simbolo della religione concertistica, con accurate manate e pedate, e colpi violenti di coperchio (come ormai si fa in ogni concerto di avanguardia che appunto ha fatto del verbo di Cage una maniera accademica); ma non aveva eseguito il suo Imaginary Landscape, un concerto per dodici apparecchi radio, né aveva messo in opera uno dei suoi pezzi preferiti, quel Water Walk per pianoforti, apparecchi radio, elettrodomestici, vapore, ghiaccio ed acqua corrente, dove il concerto dei frullatori e dei tostapane, delle centrifughe per succhi dietetici e dei rasoi elettrici, provvede all'ascoltatore una gamma di possibilità sonore indubbiamente superiore a quella della scala tradizionale, ma gli provoca anche una gamma di reazioni nervose indubbiamente più sregolate di quelle a cui si abbandona normalmente ai concerti.

Dopo questo accenno, molti dei lettori si ricorderanno di John Cage: perché apparve sul palcoscenico della Fiera di Milano, in Lascia o raddoppia?, e fece strabiliare Mike Bongiorno eseguendogli davanti agli occhi appunto un brano del Water Walk. Mike fece alcuni commenti salaci, ma non troppo, perché era convinto che Cage scherzasse e riprese a fargli domande sui funghi.

La cosa finì bene, Cage vinse, e ricordo ancora uno stralunato brindisi notturno allo spumante, nella saletta del bigliardo di un bar di Corso Sempione, ancora aperto a quell'ora con John Cage, appunto, che festeggiava i suoi milioni (aveva concorso per poter restare ancora in Italia perché era al verde, e d'altra parte sapeva tutto sui funghi, perché di solito vive nei boschi e ne esce solo per far imbestialire la gente ai concerti), Luciano Berio e Cathy Berberian, Marino Zuccheri, il tecnico del laboratorio di Fonologia Musicale della RAI, che stava aiutandolo a montare il suo pezzo elettronico Fontana Mix (dedicato alla sua affittacamere signora Fontana), Peggy Guggenheim con certi sandali dorati, nonché padrone del bar, da cui credo Cage giocasse a boccette, il tutto alla buona perché John Cage ha una sua aria da cow-boy dal cuore puro e gli occhi azzurri, in pace con il mondo e con l'Assurdo.

Racconto questi episodi non solo per riandare a tempi ormai epici, ma perché non si può capire John Cage senza ricorrere ai suoi dati biografici, agli aneddoti, a quello che esula dalla sua musica. Voglio dire che il fatto che John Cage si occupi di funghi è importante per capire la sua arte, che il fatto che abbia accettato di andare a rispondere a un telequiz in Paese straniero, sottomettendosi ai lazzi e ai frizzi di una platea che lo prendeva per un clown dilettante (mentre invece è un professionista, ma in un senso sacerdotale del termine e della funzione), fa parte del suo modo di affrontare le cose, e di quel suo apparente disprezzo della platea che invece è un modo di coinvolgerla in una sorta di rito giocoso, dal quale chi vorrà potrà ricevere l'illuminazione adatta.

Illuminazione non è un termine scelto a caso. Cage va inquadrato in un filone della cultura americana che riscopre la filosofia Zen e quindi il valore del Caso, la felicità dell'illogico, la sensatezza di tutto, e quindi la logica dell'assurdo. Da questo filone vengono poi fuori, per varie diramazioni, dagli hippies agli autori di happenings, ma non bisogna dimenticare che, quando quelli appaiono, Cage è già sulla scena culturale da alcuni decenni.

Quindi se oggi ci sono artisti che presentano un'opera d'arte inesistente, riducendo l'operazione creativa a puro gesto provocatorio, bisogna ricordare che Cage sta in gran parte all'origine di questa pratica. Che è solo distruttiva per metà, perché orchestrando il concerto di un frullino e di una caffettiera oltre a distruggere i suoni conosciuti ve ne riscoprono altri, che la scala tonale non ammetteva o non giustificava e che invece possono venire eletti come momenti privilegiati di contemplazione.

Momenti vitali
Tutto è degno di un'attenzione gioiosa: anche un rumore. Ma il punto è qui, all'origine di questa estetica c'è un'etica. È il buddismo Zen che ci insegna a rivalutare ogni momento vitale, anche la pausa innaturale, la lentezza con cui si compie un'azione (si versa il tè, si tende l'arco), il pugno di sabbia fatto colare tra le mani, l'asperità di un sasso raccolto a caso, il fluire dell'acqua.

Se, come ci dice il saggio Zen, ogni tentativo di fissare la molteplice fluidità dell'universo in forme immobili (comprese quelle musicali) è votato allo scacco, tanto vale anticipare questo scacco, ridimensionare e librare la nostra intelligenza e la nostra sensibilità attraverso una serie di gesti che ci insegnino a maneggiare in ogni sua forma il casuale, l'inaspettato, il privo di senso che perciò stesso diventa gravido di senso. Il saggio Zen, ritrovando la propria freschezza di fronte al fatto inatteso, prova una improvvisa illuminazione e scopre la verità, il miracolo onnipresente della vita: Che miracolo è questo! Io tiro acqua dal pozzo e porto la legna!

Ma qui non si tratta di analizzare una dottrina antichissima come lo Zen; e neppure di dire se essa possa portarci davvero l'illuminazione; e neppure se John Cage sia un seguace ortodosso o soltanto un ricettivo e vibratile parafulmine che ha captato e utilizzato a modo proprio i suggerimenti della saggezza orientale...

Si tratta di individuare nella tecnica di John Cage alcuni elementi che si spiegano solo riportandoli alla tradizione Zen. La pedagogia Zen è fatta di risposte a quesiti filosofici date levando un bastone (con un richiamo al concreto, uno scacco totale dell'argomentazione dotta, un ritorno alle cose, che ci sono e sono sicure, mentre le idee no), di dialoghi assurdi, che ricordano quelli delle commedie di Ionesco e di indovinelli insolvibili, i koan. E sono Zen certe procedure di John Cage, che al pubblico irritato che gli chiede ragione dei suoi concerti (perché all'improvviso un rumore di radio, perché un lungo interminabile silenzio?) risponde ripetendo all'infinito la domanda dell'interrogante, con silenzi altrettanto lunghi e innaturali.

Per la presentazione di una sua celebre Conferenza sul Nulla, fatta di più bande poetiche simultanee, Cage si era preparato una serie di risposte ai quesiti che gli sarebbero stati posti. Le risposte (si badi bene, preparate in anticipo, senza conoscere i quesiti, e da dare una dopo l'altra nell'ordine) di questo tipo erano:

  1. Ottima domanda. Non bisognerebbe rovinarla rispondendovi
  2. Se aveste sentito Marya Freund lo scorso aprile a Palermo a cantare il Pierrot Lunaire di Schoenberg, non avreste probabilmente fatto la stessa domanda.
  3. Secondo Il Farmer Almanac questa è una falsa primavera.
  4. Prego ripeta la domanda (si continua così sino ad esaurimento)
  5. Non ho risposte.
  6. Il defunto Richard Buhlig.
  7. 1949-1950
Così come il maestro Zen talora risponde alla domanda del discepolo dandogli uno schiaffo.

Al di fuori dell'arte
Ci si potrà ovviamente chiedere se questa tecnica della provocazione può avere lunga vita o se la provocazione, una volta impostasi, non diventi consuetudine. Ma credo che Cage sarebbe il primo ad essere d'accordo. Parlando di lui non dobbiamo tanto qualificarne il messaggio, come si trattasse di un profeta religioso, ma stabilirne l'influenza sul discorso che sta conducendo la musica contemporanea.

E l'influenza è documentabile, basti pensare all'importanza che il gesto ha assunto nell'operazione musicale, alla distruzione progressiva dei rituali da concerto, e alla redenzione dei rumori... E infine basti pensare alla crisi della nozione di creazione artistica come gesto privato, privilegiato, che mette capo ad un oggetto eterno.

E all'urgere i nuovi tentativi di partecipazione artistica, al di fuori degli schemi, forse al di fuori dell'arte. Penso alle scritte sui muri della Sorbona e quello happening colossale che è stato tra l'altro (anche se non era il solo) il maggio francese. Era, in grande, lo sviluppo di un germe anarchico contenuto anche nei gesti musicali di John Cage.

(Il programma Musicisti d'oggi ā€“ Happening su John Cage, va in onda sabato 19 luglio alle ore 21.15 sul Secondo Programma televisivo)