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Festival di musica contemporanea tenutisi in Italia
(Palermo e Taormina, Milano, 1949; di John Cage)

Questo resoconto-critica apparve inizialmente nel numero del giugno 1949 della rivista Musical America. Si tratta di una testimonianza del crescente disappunto di John Cage verso le avanguardie europee.

MILANO. ITALIA. Niente di sconvolgente è accaduto nè durante il Festival della Società Internazionale per la Musica Contemporanea (ISCM) (tenutosi a Palermo e Taormina dal 22 al 30 aprile), nè durante il Primo Congresso per la Musica Dodecafonica (svoltosi a Milano, dal 4 al 7 maggio). In entrambe le occasioni la quantità di musica non è stata molta dal momento che in Sicilia era stata messa in piedi una complessa pianificazione per far conoscere ai visitatori le architetture normanno-saracene e le rovine greche, mentre a Milano la ventina di compositori che si era ivi radunata aveva ritenuto più interessante parlare della dodecafonia piuttosto che praticarla.

Alcuni lavori non hanno espresso la loro grande qualità, caratteristica per la quale erano noti da tempo: il Pierrot Lunaire di Schoenberg e le Variations di Anton Webern. In ciascuno di essi, la mediocrità regnava a tal punto che il solo entrare in una sala da concerto diventava un atto stupefacente. Molti veterani erano concordi nel dire che la venerabile ISCM sarebbe dovuta scomparire, mentre il Primo Congresso per la Musica Dodecafonica molto saggiamente aveva ratificato la propria fine al suo quarto giorno.

Un simpatico aneddoto, avvenuto a Palermo, riguarda il libretto di sala tradotto dall'Italiano in quattro lingue, la cui traduzione era talmente letterale e il risultato così ilare che tutti gli stranieri sono stati messi di buon umore. E tutti sono stati colti di sorpresa, sia a Milano che in Sicilia, non sapendo che tipo di musica aspettarsi, né quando, poiché i programmi non solo sono stati cambiati di continuo, ma in qualche caso pure cancellati, e in altri ancora riprogrammati improvvisamente, magari a orari strani (per esempio a mezzanotte).

Tra i quaranta-quattro lavori ascoltati da chi scrive, due hanno utilizzato nuove sonorità; dieci sono stati di maestri ormai conosciuti (Willem Pijper, Alfredo Casella, Charles Koechlin, Arnold Schoenberg, Alban Berg, Anton von Webern, Ernst Krenek, Wallingford Riegger, e Luigi Dallapiccola); quattordici sono stati in stile nuovo-dodecaphonique; e diciassette sono stati una miscellanea di musica contemporanea, alcuni più impressionisti che neoclassici, altri viceversa, e uno per nulla moderno (la musica di scena per la tragedia di Euripide Il Ciclope di Giuseppe Mule).

il numero del giugno 1949 della rivista Musical America contenente l'articolo di John Cage

Caption: il numero del giugno 1949 della rivista Musical America contenente l'articolo di John Cage

Nessuno dei due lavori sperimentali presentati all'ISCM – Concerto per due pianoforti, ensemble di percussioni e arpe di Bruno Maderna e i Three Pieces di Yvette Grimaud per voce, onde Martenot e percussione – è stato eseguito correttamente. Il Sig. Maderna, che ha diretto il suo concerto, è stato in piedi voltando le spalle ai due pianisti e non è stato di alcun aiuto a un gruppo di musicisti impreparati che, non capendo la musica da eseguire ed essendo privi di una parte della propria strumentazione, vagavano intorno cercando di carpire informazioni l'uno dall'altro a proposito di quando e dove suonare. Il brano era lungo, rumoroso e piuttosto disgregato, e può spiegare il fatto che Maderna si sia recentemente convertito alla dodecafonia.

Anche il lavoro della Grimaud ha sofferto di insufficienti prove del brano, dell’assenza della voce e della mancanza di strumenti. I suoi contrappunti di quarti di tono alle melodie, caratterizzati da ampi intervalli, sono stati suonati in modo dimesso e monocromo, sebbene le onde Martenot utilizzate siano capaci, come dimostrato prima del concerto, di una grande varietà di timbro e ampiezza. Secondo quanto riportato nel libretto, L'idea essenziale dei brani non temperati e a quarti di tono è nella creazione sia di un'unica cellula ritmico-melodica dalla quale si genera il tutto, che, talvolta, di due linee melodiche e cellule in continua trasformazione e sviluppo. La musica è stata troppo timida dal punto di vista espressivo, ed è sembrata messa insieme in modo troppo minuzioso, sebbene, come spiegava il programma, Ciascuna nota ha la sua ragione d'essere.

Sia in Sicilia che a Milano, sono stati presentati all'ascoltatore i lavori di compositori dodecafonici che non avevano avuto alcun contatto diretto con i tre rappresentanti principali della Scuola di Vienna: Schoenberg, Webern e Berg. La volontà di avventurarsi in un sentiero così poco battuto è una manifestazione in certi casi di coraggio e originalità di pensiero, ma in altri è sintomo di una certa debolezza europea verso la tradizione. [Hanns] Jelinek, [Sándor] Jemnitz, [Camillo] Togni, [Karl Amadeus] Hartmann, [Humphrey] Searle, e [Hans Erich] Apostel hanno arricchito i loro brani dodecafonici con note forme musicali del passato – rispettivamente con le Invenzioni di Bach, musica che tutto il mondo ama suonare, impressionismo italiano, neoclassicismo tedesco, esercizi da studenti di contrappunto, e Beethoven – implicando da parte loro una possibile mancanza di fiducia nella nuova corrente musicale.

Si può tuttavia parlare con piacere di The Pit di Elizabeth Lutyens – uno scuro, spettrale e deprimente lavoro caratterizzato da lenti slanci melodici lenti e senza meta – che non solo è stato originale, ma anche unico. La Lutyens è una compositrice dodecafonica che ha ascoltato il Pierrot Lunaire di Schoenberg per la prima volta a Palermo; è anche la moglie del presidente della ISCM [René Leibowitz ndr], e il suo lavoro è presente ad ogni festival dell'organizzazione. Questa informazione è resa nota poiché serve a spiegare il presente scisma tra la sezione americana e il resto dell'organizzazione. Lo statuto dell'ISCM proibisce esplicitamente l'esecuzione di musica composta dai suoi funzionari e la Sig.Ra Lutyens, benché non esattamente un funzionario, è in contatto quotidiano con il più influente. In realtà, lei non è la sola a trasgredire la regola, visto che un quarto della musica del festival dell'ISCM di quest'anno è stata scritta da rappresentanti dell'organizzazione.

Il lavoro di Wladimir Vogel, Thyll Clues Suite, è un laborioso lavoro di carattere programmatico le cui intenzioni non sono risultate affatto chiare. Gli effetti percussivi sono stati applicati come fossero dei cerotti, e non come una possibile soluzione al problema dato dalle percussioni nella composizione dodecafonica. I Three Movements for Strings di Riccardo Nielsen e i Nocturnes di H.J. Koellreutter per voce di contralto e quartetto d'archi, sono stati più accettabili – il primo in virtù di una sonorità coerente, uno dei validi obiettivi della dodecafonia, raggiunto attraverso il controllo intervallare; e il brano di Koellreutter per via del suo rigido ma poetico uso della serie di partenza.

Le Variations per pianoforte e dieci strumenti di Serge Nigg, ascoltate a Toarmina, sono state il lavoro meno apprezzato di tutto il festival. Lo spiacevole silenzio che ha seguito la loro esecuzione è stato interrotto da una salva di fischi. Pare che al momento Nigg si trovasse in uno stato di transizione per cui, nonostante fosse uno degli organizzatori del congresso di Milano, ha rassegnato le sue dimissioni attraverso una sentita lettera in cui, tralasciando di informare sulla sua attuale posizione musicale, ha dichiarato le proprie convinzioni politico-sociali. Le sue Variations sono state ostinatamente brutte e irrimediabilmente cervellotiche. Passavano da una relativa semplicità a una complessità assoluta in modo spietatamente inumano. Sembra che Nigg non abbia compiuto quella 'camminata attorno a se stesso' che Satie suggeriva essere necessaria prima di sedersi e comporre.

I nuovi lavori dodecafonici davvero degni di nota sono stati la Fantasia Concertante per violino e orchestra d'archi di Matyas Seiber, eseguita in modo convincente da Max Rostal e diretta da Constant Lambert, e il Sonnet to Dallapiccola di Wladimir Woronoff, un pezzo per pianoforte suonato con sensibilità da Genevieve Joy. Entrambi sono stati ascoltati al festival di Palermo. Il brano di Seiber ha evitato la classica sonorità dodecafonica , liberando l'accompagnamento dalla serie tonale nel momento in cui il solista vi era confinato e viceversa. Questo compositore è inglese ma la sua origine ungherese è evidente nella impetuosa e rapsodica natura della sua continuità. Il brano di Woronoff, utilizzando una grande varietà di suoni del pianoforte, si è distinto per una struttura ritmica derivante da un attento e puntuale studio della metrica. Questo lavoro, avventuroso nella struttura, come i brani di Maderna e Grimaud lo erano stati per la strumentazione, era definito nel libretto del programma come un Pezzo di variazioni multiple. Ma continuava il libretto è importante sottolineare il fatto che esso costituisce il primo esperimento e il primo passo nella direzione attesa, pur non avendo alcuna pretesa di immediata efficacia.

I lavori teatrali di [Jean] Françaix e [Knudage] Riisager, la musica da camera di [Armin] Schibler, [Henri] Dutilleux, [Gino] Contilli e Brokovec [Pavel Bořkovec], i lavori sinfonici di [Lennox] Berkeley, [Miloslav] Kabelac, [Vincenzo] Tommasini, [Goffredo] Petrassi, [Giorgio Federico] Ghedini, [Marcel] Mihalovici, [Victor] Legley e [Jean-Louis] Martinet, e infine la musica per i piccoli organici strumentali di [Juan Antonio] Orrego-Salas e [Jocelin] Binet sono stati suonati senza che si influenzassero reciprocamente in un modo o nell'altro. Il brano di Françaix, Le Diable Boiteuz, inferiore a lavori simili di Poulenc, è spiccato perché Hugues Cuénod, con ingegno e acume gallico, ha cantato sia la sua parte per tenore che quella per basso, trasformando all'ultimo minuto un'inaspettata assenza nel cast dei musicisti in un indimenticabile tour-de-force.

Degli altri brani, vanno citati la Miniature Symphony di Victor Legley e il Concerto dell'Albatro per violino, violoncello , pianoforte, recitazione e orchestra di G.F. Ghedini, il primo per l'equilibrio tra pensiero e sentimento, la sua chiarezza e sintesi; il secondo, basato su un soggetto di Herman Melville, per avere magnificamente trasmesso l'idea di mistero e del mare. Entrambi i lavori sono sopravvissuti all'esecuzione dell'orchestra del festival (lo stesso non si può dire dell'Orphee di L. Martinet), l'Orchestra Sinfonica di Roma della Radio Italiana, la quale, indipendentemente da chi la diriga, è preferibile sia ascoltata per radio affinché le sue caratteristiche debolezze di ritmo, sonorità e intonazione siano perlomeno sopportabili. Il lavoro di Legley, sebbene non audace, non è pretenzioso – Ogni parte è musicalmente proposta nella più sintetica espressione possibile; ciascun elemento viene ridotto al minimo necessario. Nel complesso, emana un'atmosfera che persiste anche nel movimento lento. L'organico orchestrale è relativamente limitato; gli archi, i timbri e gli ottoni erano poco numerosi e sempre nascosti, mentre la batteria era formata solo dai timpani.

A Milano, l'esecuzione della Sinfonia di Webern (la Sinfonia per orchestra da camera, Op. 21), per la quale colui che scrive avrebbe dato un dente pur di ascoltarla, è stata cancellata insieme ad altri lavori di [Juan Carlos] Paz, [Joseph Matthias] Hauer, e [Helmut] Vogel. Le cancellazioni a Milano e in Sicilia sono state di solito imputate a problemi con la dogana italiana. Una voce di corridoio, nel caso della Sinfonia di Hartmann, ha messo in giro la notizia che fosse stata erroneamente omessa dal calendario delle prove. Alla luce dei molti lavori eseguiti pur non essendo stati provati, questa spiegazione non-ufficiale è parsa inutile.

Così come Cuénod è stato l'eroe a Palermo, Marcelle Mercenier, alle prese con le Variazioni per Pianoforte [Op. 27] di Anton von Webern, è stata subito e meravigliosamente l'eroina del Congresso a Milano. La sua esecuzione è stata particolarmente apprezzata dopo quella di Massimo Toffoletti, che ha reso la Suite Op.25 di Schoenberg irriconoscibile. Anche la Lyric Suite di Alban Berg ha sofferto nelle mani del Quartetto Vegh, che ne ha dato una interpretazione pulita ma melensa. L'equilibrio richiede che questa musica, più di ogni altra, venga letta con controllo. I Cinque Frammenti da Saffo di Dallapiccola, un brano che rende udibile la bellezza del paesaggio italiano, i suoi fiori, le sue rovine e la vitale nostalgia del passato; e la Terza Sinfonia di [Wallingford] Riegger, un lavoro vigoroso e completamente americano, hanno ricevuto un trattamento più felice. Essi sono stati eseguiti dall'Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, sotto la direzione di Hermann Scherchen. I Kafkalieder di [Ernst] Krenek per voce e pianoforte, sono stati perfettamente, se non magistralmente eseguiti da Margherita de Landi e suo marito, Edward Staempfli. L'attenzione della coppia per i dettagli del ritmo e dell'intonazione ha fatto sì che questa musica, che non è priva di vitalità e carattere, sia rimasta piatta e senza ali.

I capolavori a Palermo sono stati inferiori nel numero rispetto a quelli di Milano. E, con un'eccezione, inferiori nella qualità (chi scrive non ha ascoltato il King Roger di Karol Szymanowski, così come alcune canzoni di Stravinsky – il primo perché era con la febbre quel giorno, e il secondo perché eseguito in uno di quei programmi non-annunciati al quale il sottoscritto non ha potuto partecipare). Essi sono stati La Favola d'Orfeo di Casella, opera in un solo atto che si è distinta per la sua calda e gentile trasparenza; la Primavera di [Charles] Koechlin per cinque strumenti (flauto, arpa e tre archi) [si tratta del Primavera Quintet, Op. 156, per flauto, arpa, violino, viola e violoncello], scritta nel 1936 per celebrare il ritorno della primavera, eseguita rumorosamente da un ensemble italiano, ma meritevole di un'interpretazione più delicata; infine l'ultimo lavoro di [Willem] Pijper, l'incompleto Fifth String Quartet, un esempio sbiadito ma a regola d'arte del metodo 'motivico' applicato all politonalità.

Al di sopra di queste, e di qualunque altra cosa ascoltata a Milano, si è innalzato il Pierrot Lunaire di Schoenberg, al pari del Monte Etna che domina Taormina. La settantaquattrenne Marya Freund, ha eseguito lo sprechgesang, accompagnata dallo straordinario ensemble diretto da Pietro Scarpini, che ha suonato anche il pianoforte. Questa esecuzione, tenutasi il 23 aprile alla Villa Igliea di Palermo, è stata di tale livello che chiunque l'abbia ascoltata non potrà mai dimenticarla. Una spettatrice venuta fin dall'Australia ha confessato che solo in quel momento aveva capito il perché del suo lungo viaggio.

Chi scrive ha tremato per un po' di tempo alla fine dell'esecuzione e ha notato diverse persone in lacrime. Alla natura ermetica di questo lavoro è stata conferita una qualità quasi oracolare, tale da far sembrare a chiunque di stare ad ascoltare una profonda e necessaria verità. Il presidente del comitato organizzatore aveva scritto nel suo benvenuto al festival Quando più avanti nella nostra vita ciascuno di noi dovrà avere un dolce leitmotif nella sinfonia dei ricordi, la visione di questa isola soleggiata sullo sfondo di un limpido cielo azzurro e di melodie celestiali, ci sentiremo pienamente appagati per l’entusiasta preparazione di questi nove giorni di ritiro spirituale. Il suo augurio, attraverso il Pierrot Lunaire, si è realizzato.